Autore: admin

Gergalmente si intende per birra cruda quella birra che, durante il processo di lavorazione, non viene sottoposta né a pastorizzazione né ad aggiunta di conservanti.

Descrizione

Durante la produzione della birra industriale è consuetudine, onde garantire alla bevanda una buona conservazione e assicurarsi delle sue caratteristiche igieniche, sottoporla a pastorizzazione dopo la fermentazione secondaria e prima della filtratura e dell’imbottigliamento; la pastorizzazione avviene portando la birra a una temperatura di 60 °C per circa 20 minuti, al fine di sterilizzarla da alcuni microorganismi potenzialmente nocivi[1], anche se il processo, eliminando alcuni lieviti, rende necessario aggiungere anidride carbonica alla birra in un secondo momento. Inoltre la pastorizzazione consente di rendere uniformi profumi e sapori della birra. Tuttavia la pastorizzazione causa la denaturazione di alcuni elementi nutritivi della birra, che, insieme ai lieviti vivi, hanno effetti salutari per l’organismo umano[2].

Il procedimento senza pastorizzazione, invece, è utilizzato quando la birra non ha una grossa distribuzione industriale; in tale caso, fino alla consumazione, essa va tenuta a basse temperature, condizione necessaria per conservarla a lungo in assenza di pastorizzazione[2].

La birra cruda è quasi sempre artigianale, prodotta cioè artigianalmente in micro-impianti privi di automazioni elettromeccaniche e di strumentazioni sofisticate, dove contano soltanto l’attenzione e la pratica manuale dell’operatore (impianti riconducibili, quindi, nei loro termini essenziali, al sistema in uso fin nei secoli passati: sala cottura, sala di fermentazione, sala di maturazione). I birrifici artigianali producono la birra tradizionalmente, vale a dire applicando le metodiche di fabbricazione come erano in uso prima che l’industria introducesse tutta una serie di misure tecnologiche finalizzate a standardizzare il prodotto finale, producendo una birra dal gusto e dalle caratteristiche omogenee (oltre che costanti in tutti i lotti di produzione), ottenendo una birra mediamente apprezzabile da ogni tipologia di consumatore, la birra cruda, in effetti, modifica il proprio sapore e le proprie proprietà organolettiche anche solo con il passare del tempo.

La birra cruda è anche, generalmente, birra integrale, non microfiltrata. La mancata sottoposizione al trattamento termico e alla microfiltrazione lascia la birra integralmente ricca di lieviti e sostanze in sospensione. Non vi è aggiunta di alcun conservante e non vengono utilizzati altri procedimenti (ad esempio la stabilizzazione in polivinilpolipirrolidone) che comportino degradazione o impoverimento del prodotto.

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birrificio sorrento

…Fu proprio durante la sua prigionia che Sirentum apprese le primordiali tecniche per la produzione di una bevanda, ottenuta dalla fermentazione di cereali.

Al suo ritorno Sirentum offrì la bevanda alle Sirene portandole al Tempio…

Il birrificio Sorrento nasce dal progetto di riportare un microbirrificio a Sorrento.

La storia inizia infatti dall’esperienza da homebrewer di Giuseppe che aveva necessità di costruire un piccolo impianto casalingo e decise di coinvolgere in questo lavoro Francesco.

Le loro creazioni iniziarono a riscuotere consensi e pensarono alla possibilità di far nascere un birrificio tutto loro e grande ma all’inizio ci furono mille intoppi.

Dal 2009 al 2013 l’impianto fu preso in affitto e dall’amicizia con Mario Cipriano prima (Birrificio Karma) e di Nello Marciano (Birrificio Maneba) poi nel 2009 nacque il Beer Firm Birrificio Sorrento.
Dopo qualche anno però sentirono la necessità di avere un impianto di proprietà e scelsero con grossi sacrifici, di dar vita ad un progetto di impianto, meno ambizioso, parallelo a quello principale. Il loro sogno era quello infatti di realizzare un Birrificio partendo dal capannone per il quale acquistarono il terreno.
Oggi il birrificio ha sede a Massa Lubrense, il cuore verde della penisola Sorrentina.
Le birre nascono da loro ricette, sperimentate, perfezionate e prodotte personalmente.

A piccoli passi verso la nascita del Birrificio Sorrento

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Achel è una birra belga trappista, prodotta al monastero di Notre-Dame di Sant-Benoît, a Achel (provincia di Limburgo). L’industria della birra esiste dal 1850, e ne produce attualmente due varianti: una bionda e l’altra scura.

L’imbottigliamento è effettuato al birrificio Bios-Van Steenberge, a Ertvelde.

Achel è una delle undici birre che sfoggiano il logo esagonale Authentic trappist product.

Storia

La storia del birrificio ha inizio nel 1648, quando i monaci olandesi costruiscono un cappella in Achel. La cappella viene trasformata in una abbazia nel 1686, ma viene distrutta durante il periodo della rivoluzione francese. Nel 1844 le rovine vengono ricostruite dai monaci di Westmalle e le varie attività agricole sono ricominciate.[1] La prima birra ad essere fermentata sul luogo era la Patersvaatje, nel 1852, e 19 anni più tardi, nel 1871, il luogo si trasforma in un monastero di trappisti, dove iniziano la preparazione della birra normale.

Nel 1914 durante la prima guerra mondiale, i monaci devono lasciare l’abbazia a causa dell’occupazione tedesca. I tedeschi smantellano la fabbrica di birra nel 1917 per ricavarne approssimativamente 700 kg di rame. Nel 1998 i monaci decidono di ricominciare a fermentare la birra. I monaci della abbazia di Rochefort e di Westmalle aiutano nella costruzione del nuovo birrificio.

Nel 2001, la fabbrica di birra produce le birre Achel 8°.

Come tutte le altre fabbriche di birra Trappiste, le birre sono vendute per sostenere il monastero e le carità.

Prodotti

La birra Achel viene prodotte in cinque versioni:

  • Achel Bionda 5°, con il 5% di alcool (vol.)
  • Achel Scura 5°, con il 5% di alcool
  • Achel Bionda 8°, con l’8% di alcool
  • Achel Scura 8°, con l’8% di alcool
  • Achel Extra 8°, Scura, con il 9,5% di alcool (solo in bottiglie da 75 cl)
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La Paulaner Brauerei GmbH & Co. KG è un birrificio fondato nel 1634 in Germania. Fu costruita all’inizio del XVII secolo a Monaco di Baviera dai frati del convento Neudeck ob der Au dell’ordine dei Minimi (detti in tedesco “paolani”, dal nome della città di origine del fondatore dell’ordine, Francesco da Paola).

Il Gruppo Paulaner include anche i birrifici Hacker-Pschorr, AuerBräu di Rosenheim, Thurn und Taxis di Ratisbona e il birrificio weizen Hopf Miesbach.

Paulaner fa parte, con Spaten, Augustiner, Hacker-Pschorr, Hofbräu e Löwenbräu, dei 6 fabbricanti di birra ufficiali dell’Oktoberfest di Monaco.

Storia

Il nome dell’industria della birra Paulaner trae la sua origine dai frati di san Francesco da Paola, che risiedevano a Neuhauser Straße, a Monaco. I monaci iniziarono a produrre birra per loro uso personale dal 1634. Dopo il 1780 cominciarono a venderla al pubblico[1]. La birra autorizzata al commercio era una Bock che si guadagnò la notorietà locale. Dopo l’abolizione del convento di Neudeck nel 1799, l’edificio fu convertito in prigione; Franz Xaver Zacherl, fabbricante di birra, comprò nel 1813 il vecchio edificio continuando la produzione della birra Bock sotto il nome di Salvator. Dopo la sua morte la conduzione dell’azienda fu assunta dal nipote Ludwig Schmederer[1].

Nel 1861, la Salvatorkeller (in tedesco cantina di Salvator, riferimento alla fabbricazione del Starkbier prodotta ancora oggi) è stata aperta a Nockherberg, non lontano dalla birreria. Nel 1899 l’ufficio brevetti imperiale, con sede a Berlino riconobbe il marchio Salvator come registrato, a seguito di ciò il nome fu cambiato da Gebrüder Schmederer Aktienbrauerei a Paulaner-Salvator-Brauerei[2]. Nel 1928, avvenne la fusione con il birrificio di Thomas Gebrüder: nasce la Paulaner Salvator Thomas Bräu.

La vecchia fabbrica in Falkenstraße 11 a Monaco

Nel 1985 l’Hacker-Pschorr e l’AuerBräu entrarono a far parte del gruppo Paulaner[1]. Nel 1994, l’industria della birra entra nel gruppo Kulmbacher con i produttori affiliati Plauen e Chemnitz. Nel 1996 il gruppo Paulaner ha completato l’acquisizione del birrificio Thurn und Thaxis[1]. Nel 1999 è stata rinominata Paulaner GmbH & Co. KG[1].

Dal 2001 il gruppo Paulaner fa parte della Brau Holding International, società partecipata al 50,1 % dal gruppo Schörghuber e al 49,9 % dal gruppo Heineken[3].

Nel 2005 risulta che la produzione di Weissbier è di 1,15 milioni di ettolitri l’anno. Il primo locale con il marchio Paulaner in Italia è stato inaugurato il 21 settembre 2005 a Bolzano con il nome di “Paulaner Stuben”.[4]

Nel giugno 2014 è iniziata la costruzione di una nuova fabbrica per la produzione della birra a Langwied[5]. A partire dal 2016 tutta la birra viene prodotta nel nuovo stabilimento[6]. Nel 2017 la Brau Holding, che già controllava la Paulaner, si è fusa con essa assumendo la denominazione Paulaner Brauerei Gruppe[7].

Varietà prodotte

Weißbier

  • Paulaner Hefe-Weißbier Naturtrüb, la più consumata. Naturtrüb significa che la birra è naturalmente torbida. Con il 5,5% di alcool (vol), e con il 12,5 °P[8].
  • Paulaner Hefe-Weißbier Dunkel, simile alla precedente ma dal sapore più forte e dal colore scuro (dunkel in tedesco) , essendo il malto più arrostito. Con il 5,3% di alcool (vol), e con il 12,4 °P.
  • Paulaner Weißbier Kristallklar, birra più trasparente della Naturtrüb. Con il 5,5% di alcool (vol), e con il 11,8 °P.
  • Paulaner Hefe-Weißbier Leicht , la Weizenbier leggera. Con il 3,2% di alcool (vol), e con il 7,7 °P.
  • Paulaner Hefe-Weißbier Alkoholfrei, la versione analcolica (meno dello 0,5% di alcool (vol)).

Le Original Münchner

Paulaner Original Münchner Hell

  • Paulaner Original Münchner Hell, birra chiara locale, prodotta alla fine del XIX secolo, molto consumata. È la birra più esportata dell’azienda. Con il 4,9% di alcool (vol), e con il 11,5 °P.
  • Paulaner Original Münchner Dunkel, birra scura, con il 5% di alcool (vol), e con il 12,5 °P.
  • Paulaner Original Münchner Urtyp, birra pils, con il 5,5% di alcool (vol), e con il 12,5 °P.
  • Paulaner Original Münchner Märzen, birra prodotta per l’Oktoberfest, con il 5,8% di alcool (vol), e con il 13,7 °P.

Le Münchner

  • Paulaner Münchner Hell Leicht, la versione leggera delle Original Münchner Hell, con il 3,2% di alcool (vol) e con il 7,7 °P.
  • Paulaner Münchner Hell Alkoholfrei, la versione senza alcool delle Original Münchner Hell, con il <0,5 di alcool (vol).
  • Paulaner Münchner Diät Bier, con il 4,3% di alcool (vol) e con il 8,5 °P.
  • Paulaner Premium Pils, con il 4,9% di alcool (vol) e con il 11,5 °P.

Specialità stagionali

  • Paulaner Oktoberfest Bier, birra normalmente riservata all’Oktoberfest, ma reperibile anche sui mercati. Con il 6% di alcool (vol), e con il 13,7 °P.
  • Paulaner Salvator, birra molto forte, con il 7,9% di alcool (vol), e con il 18,3 °P.
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L’elenco completo dei birrifici artigianali attivi in provincia di Torino, con tutti gli elementi e i riferimenti per il contatto.

BIRRIFICIO ARTIGIANALE ALEGHE

  • Indirizzo: Via de Fernex, 17
  • Località: Coazze
  • CAP: 10050
  • Comune: Coazze (TO)
  • Cellulare: 393-9938105 335-8473271 335-6
  • Email: birra.aleghe@gmail.com
  • Sito Web: www.aleghebirra.com

BIRRIFICIO ARTIGIANALE AMIS

  • Indirizzo: Via Fratelli Remmert, 100
  • Località: Ciriè
  • CAP: 10073
  • Comune: Torino (TO)
  • Cellulare: 320-8186742
  • Email: info@amisbirra.it
  • Sito Web: www.amisbirra.it

BIRRIFICIO ARTIGIANALE BEBA

  • Indirizzo: Viale Italia, 11
  • Località: Villar Perosa
  • CAP: 10069
  • Comune: Villar Perosa (TO)
  • Tel: 0121-315755
  • Fax: 0121-315755
  • Email: staff@birrabeba.it
  • Sito Web: www.birrabeba.it

BIRRIFICIO ARTIGIANALE BEFED

  • Indirizzo: Via Ariosto, 36/bis – Ecomuseo del Freidano
  • Località: Settimo Torinese
  • CAP: 10036
  • Comune: Settimo Torinese (TO)
  • Tel: 011-8015392
  • Email: franchising@befed.it
  • Sito Web: www.befed.it

BIRRIFICIO ARTIGIANALE CASTAGNERO

  • Indirizzo: strada antica di Alpignano n. 26
  • Località: Rosta
  • CAP: 10090
  • Comune: Rosta (TO)
  • Cellulare: 388-4919063 – 329.8618417
  • Email: elmo.commercio@libero.it
  • Sito web: www.birrificiocastagnero.com

BIRRIFICIO ARTIGIANALE PINEROLESE

  • Indirizzo: Corso Torino, 422
  • Località: Pinerolo
  • CAP: 10064
  • Comune: Pinerolo (TO)
  • Tel: 0121-40327
  • Cellulare: 347-4753943
  • Fax: 0121-212181
  • Email: info@birrificiopinerolese.it
  • Sito Web: www.birrificiopinerolese.it

BIRRIFICIO ARTIGIANALE BLACK BARRELS

Beershop e produzione propria birre maturate in legno,ad alta,bassa e fermentazione spontanea.

  • Indirizzo: Via Principessa Clotilde, 98/e
  • Località: Torino
  • CAP: 10144
  • Comune: Torino (TO)
  • Tel: 011 5823028
  • Cellulare: 3892870838
  • Email: blackbarrels69@gmail.com
  • Peculiarità: Luppolo Km0

BIRRIFICIO ARTIGIANALE BRASSERIA ALPINA

  • Indirizzo: Via Vittorio Veneto, 44
  • Località: San Germano Chisone
  • CAP: 10065
  • Comune: San Germano Chisone (TO)
  • Tel: 0121-034602
  • Email: info@brasseriaalpina.com
  • Sito Web: www.birraboheme.com

BIRRIFICIO ARTIGIANALE CHEVALIER

  • Indirizzo: Strada Fornacino, 133
  • Località: Leini
  • CAP: 10040
  • Comune: Torino (TO)
  • Tel: 011-9969640
  • Email: info@birrificiochevalier.it
  • Sito Web: www.birrificiochevalier.it

BIRRIFICIO ARTIGIANALE GILAC

  • Indirizzo: Via Lanzo, 46
  • Località: Val della Torre
  • CAP: 10040
  • Comune: Val della Torre (TO)
  • Cellulare: 347-8885893
  • Email: info@gilac.it
  • Sito Web: www.gilac.it

BIRRIFICIO ARTIGIANALE GRADO PLATO

  • Indirizzo: Viale Fasano, 36/bis
  • Località: Chieri
  • CAP: 10023
  • Comune: Chieri (TO)
  • Tel: 011-9473236
  • Email: info@gradoplato.it
  • Sito Web: www.gradoplato.it

BIRRIFICIO ARTIGIANALE GRADO PLATO

  • Indirizzo: Viale Fasano, 36/bis
  • Località: Chieri
  • CAP: 10023
  • Comune: Chieri (TO)
  • Tel: 011-9473236
  • Email: info@gradoplato.it
  • Sito Web: www.gradoplato.it

BIRRIFICIO ARTIGIANALE HNT

  • Indirizzo: Via Castellero, 6/a
  • Località: Carmagnola
  • CAP: 10022
  • Comune: Carmagnola (TO)
  • Email: info@haveanicetrip.it
  • Sito Web: www.haveanicetrip.it

BIRRIFICIO ARTIGIANALE LA VECCHIA IVREA

  • Indirizzo: Corso Vercelli, 141
  • Località: Ivrea
  • CAP: 10015
  • Comune: Ivrea (TO)
  • Tel: 0125-616376
  • Cellulare: 345-3039924
  • Email: info@lavecchiaivrea.it
  • Sito Web: www.lavecchiaivrea.it

BIRRIFICIO ARTIGIANALE LOVERBEER

  • Indirizzo: Strada Pellinciona, 7
  • Località: Marentino
  • CAP: 10020
  • Comune: Marentino (TO)
  • Cellulare: 347 3636680
  • Fax: 011-9435339
  • Email: info@loverbeer.it
  • Sito Web: www.loverbeer.com

BIRRIFICIO ARTIGIANALE LUNGO SORSO

  • Indirizzo: Via Ponte Masino, 14
  • Località: Nole
  • CAP: 10076
  • Comune: Nole (TO)
  • Tel: 011-9221809
  • Cellulare: 339-4248608
  • Fax: 011-9221809
  • Email: info@lungosorso.it
  • Sito Web: www.lungosorso.it

BIRRIFICIO ARTIGIANALE PARSIFAL

  • Indirizzo: Via Chivasso, 43
  • Località: San Raffaele Cimena
  • CAP: 10090
  • Comune: San Raffaele Cimena (TO)
  • Tel: 011-9601814
  • Fax: 011-9123354
  • Email: info@birrificioparsifal.it
  • Sito Web: www.birrificioparsifal.it

BIRRIFICIO ARTIGIANALE RABEL

  • Indirizzo: Via Ganio Vecchiolino Secondo, 3
  • Località: Montalto Dora
  • CAP: 10016
  • Comune: Montalto Dora (TO)
  • Email: info@birrificiorabel.it
  • Sito Web: www.birrificiorabel.it

BIRRIFICIO ARTIGIANALE SAN MICHELE

Birrificio artigianale SAN MICHELE

  • Indirizzo: Via Terzo Reggimento Alpini 10/A
  • Località: – SANT’AMBROGIO DI TORINO (TO)
  • CAP: 10057
  • Tel: 011 19815118
  • Cell:  335 6797252
  • Sito: www.birrasanmichele.it
  • Facebook: http://it-it.facebook.com/pages/Birra-San-Michele/499014100137651
  • Email: info@birrasm.it

BIRRIFICIO ARTIGIANALE SAN PAOLO

  • Indirizzo: Via Airasca 11/D
  • Località: Torino
  • CAP: 10141
  • Comune: Torino (TO)
  • Tel: 011-3721443
  • Cellulare: 328-7099951
  • Email: info@birrificiosanpaolo.it
  • Sito Web: www.birrificiosanpaolo.it

BIRRIFICIO ARTIGIANALE SORA’LAMA’

  • Indirizzo: Via Nazionale, 10/c SS.25 Km 32,5
  • Località: Vaie
  • CAP: 10050
  • Comune: Vaie (TO)
  • Tel: 011-9631977
  • Fax: 011-9631977
  • Email: info@soralama.it
  • Sito Web: www.soralama.it

BIRRIFICIO ARTIGIANALE TORINO

  • Indirizzo: Via Parma, 30
  • Località: Torino
  • CAP: 10152
  • Comune: Torino (TO)
  • Tel: 011-2876562
  • Fax: 011-2876562
  • Email: info@birrificiotorino.com
  • Sito Web: www.birrificiotorino.com
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birra-boccali

La birra è una delle più antiche bevande prodotte dall’uomo, risalente almeno al V millennio a.C. di cui rimane traccia su fonti scritte dell’Antico Egitto e della Mesopotamia.

Etimologia

La parola italiana birra deriva dal tedesco Bier, un prestito del XVI secolo. Il termine ha rimpiazzato l’antico cervogia, che indicava le birre fatte senza luppolo. Dalla stessa parola tedesca deriva il francese bière. Sono imparentati con Bier l’inglese beer e il neerlandese bier. L’origine della stessa parola germanica (dall’antico alto tedesco bior) è incerta: si pensa che sia un prestito del VI secolo dal latino volgare biber “bibita, bevanda”, dal verbo latino bibere, oppure derivi direttamente dal protogermanico *beuwoz-, da *beuwo- “orzo”.

In inglese si usa, oltre a beer, un altro termine per indicare la birra: ale. Antiche fonti inglesi fanno distinzione tra le due parole, ma non definiscono cosa si intenda per “birra” durante quel periodo, nonostante sia possibile che si riferisca all’idromele (mead). La forma dell’antico inglese beor è scomparsa subito dopo la conquista normanna dell’Inghilterra (in risposta all’introduzione del luppolo che non sarà ampiamente utilizzato per altri duecento anni), e il termine è rientrato a far parte della lingua inglese solamente secoli dopo, riferendosi esclusivamente alle bevande di malto con luppolo. Fino a quel momento il termine ale si riferì specificamente a birre senza luppolo, nonostante questa non sia più la definizione attuale della parola (indica infatti le birre ad alta fermentazione). Si ritiene che alederivi direttamente dalla radice indoeuropea *alu-, e sia arrivata alla forma attuale attraverso il termine germanico *aluþ- . La stessa radice è all’origine dello svedese öl e del danese e norvegese øl; da queste è stata prestata alle lingue baltiche (lettone e lituano alus e a quelle baltofinniche (finlandese olut ed estone õlu).

Nei vari dialetti dello spagnolo e del portoghese la bevanda viene chiamata cervezacerveja o con un termine analogo a questa forma, che deriva dal latino cervēsia o cer(e)vīsia così come il francese cervoise “birra senza luppolo”, da cui cervogia. La forma latina è un probabile relitto mediterraneo preindoeuropeo come cerea o caelia, bevanda fermentata usata nella Spagna romana. Il termine proto-slavo *pivo, letteralmente “bevanda”, è la parola per definire la birra nella gran parte delle lingue slave, con piccole variazioni fonetiche presenti tra lingua e lingua. In greco antico – la bevanda non era tradizionale in Grecia – la parola per la birra egiziana era ζῦθος zŷthos (forse da ζύμη zýmē, “lievito”), per quella frigia o trace βρῦτον brŷton oggi si usa un prestito dall’italiano: μπίρα bíra.

Le prime birre

Tutankhamun Ale. Una replica autentica della birra bevuta nell’antico Egitto, preparata con il farro dalla birreria Courage nel 1996

Poiché quasi tutti i cereali che contengono certi zuccheri possono andare incontro ad una fermentazione spontanea dovuta a lieviti selvaggi presenti nell’aria, è possibile che bevande simili alla birra siano state sviluppate indipendentemente in tutto il mondo poco dopo che una tribù o una cultura presero dimestichezza con i cereali. Test chimici condotti su brocche antiche in ceramica hanno rivelato che la birra è stata prodotta per la prima volta circa 7.000 anni fa sul territorio dell’attuale Iran, e che ciò è stata una delle prime opere note di ingegneria biologica in cui è stato impiegato il processo della fermentazione.

Si pensa che in Mesopotamia la traccia più antica di birra sia una tavoletta sumera di 6.000 anni fa che ritrae persone intente a bere una bevanda con cannucce di paglia da un recipiente comune. Una poesia sumera risalente a 3900 anni fa che onora Ninkasi, la divinità patrona della produzione della birra, contiene la più antica ricetta esistente di birra, descrivendo la produzione di birra a partire dall’orzo per mezzo del pane.

«Ninkasi, tu sei colei che cuoce il bappir nel grande forno,
Che mette in ordine le pile di cereali sbucciati,
Tu sei colei che bagna il malto posto sul terreno…Tu sei colei che tiene con le due mani il grande dolce mosto di malto…Ninkasi, tu sei colei che versa la birra filtrata del tino di raccolta,
È [come] l’avanzata impetuosa del Tigri e dell’Eufrate»
(Inno a Ninkasi)

La birra viene citata inoltre nell’Epopea di Gilgamesh, in cui viene servita da bere della birra al selvaggio Enkidu.

La birra divenne fondamentale per tutte le civiltà classiche dell’antico occidente che coltivavano cereali, compreso l’Egitto, a tal punto che nel 1868 James Death ha proposto la teoria nel suo libro The Beer of the Bible secondo cui la manna dal cielo che Dio ha dato agli Ebrei era una birra a base di pane, simile al porridge, chiamata wusa. L’antropologo moderno Alan Eames sostiene che la “birra è stata la forza trainante che ha spinto gruppi nomadi ad una vita sedentaria… È stato questo forte desiderio di avere materiale per produrre birra che ha portato alla coltivazione, ad insediamenti permanenti e all’agricoltura”.

Le conoscenze sulla birra vennero tramandate ai Greci: al riguardo Platone avrebbe scritto che “Deve essere stato un uomo saggio a inventare la birra.”

Il 26 novembre 1995 è stato ritrovato, in una necropoli della cultura di Golasecca presso Pombia (NO), un bicchiere d’impasto databile intorno al 560 a.C., collocato ritualmente sopra le ceneri nell’urna, con resti di una probabile birra rossa di gradazione medio-alta. Le particolari condizioni di conservazione della tomba hanno consentito per la prima volta, attraverso le analisi condotte sul residuo anidro conservato nel bicchiere collocato nell’urna cineraria, di individuare con buona probabilità la natura di una bevanda presente come offerta funeraria all’interno di una tomba golasecchiana. L’identificazione della sostanza come birra con luppolo comporterebbe la retrodatazione della birra moderna all’età del ferro ad opera delle popolazioni Liguri.

La birra ebbe un’importanza notevole per i primi Romani, ma durante il periodo repubblicano il vino divenne la bevanda alcolica d’elezione; la birra cominciò ad essere considerata una bevanda adatta solamente ai barbari; Tacito scrisse della birra prodotta dallepopolazioni germaniche del tempo con toni dispregiativi. Anche i Traci sono noti per aver consumato birra (brŷton o brŷtos, secondo fonti greche) fatta a partire dalla segale, sin dal V secolo a.C., come scrive Ellanico di Lesbo nelle sue opere.

Europa medievale

La birra è stata una delle bibite più diffuse durante il Medioevo: essa veniva consumata giornalmente da tutte le classi sociali nei paesi del nord e dell’est Europa dove la coltivazione della vite era difficoltosa o impossibile. Nel sud Europa, dove invece il vino era la bevanda più diffusa, la birra veniva consumata principalmente dalle classi più basse: ciò accadeva poiché la purezza dell’acqua poteva essere garantita solo di rado, mentre le bevande alcoliche venivano bollite (e quindi pressoché sterilizzate) durante il processo di produzione. Nel nord Europa la birra forniva inoltre una quantità notevole di calorie giornaliere: in Inghilterra e nei Paesi Bassi, il consumo pro-capite era di 275-300 litri (60-66 galloni) all’anno durante il Basso medioevo, periodo in cui la birra veniva servita ad ogni pasto. Sebbene fosse probabilmente una delle bevande più scelte in Europa, la birra veniva etichettata dalla scienza come sostanza poco salubre, principalmente perché gli antichi greci e i medici arabi avevano condotto pochi esperimenti su di essa. Nel 1256 Aldobrandino da Siena descrisse la natura della birra nel modo seguente:

«Comunque con qualsiasi cosa venga prodotta, sia con l’avena, sia con l’orzo o con il frumento, [la birra] fa male alla testa e allo stomaco, causa una cattiva respirazione e rovina i denti, riempie lo stomaco con fumi dannosi, e chiunque la beva insieme al vino diventa ubriaco rapidamente; ma ha la proprietà di facilitare la minzione e rende la pelle bianca e liscia.»
(Aldobrandino da Siena)

L’impiego del luppolo nella birra è stato descritto nell’822 da un abate carolingio; ancora, nel 1067 la badessa Ildegarda di Bingen scriveva:

«Se qualcuno intende fare della birra con l’avena, viene preparata con il luppolo.»
(Ildegarda di Bingen)

La pratica dell’aromatizzazione con il luppolo era nota almeno dal IX secolo, ma fu adottata solo gradualmente a causa di problemi nello stabilire la giusta proporzione dei vari ingredienti. Prima del luppolo veniva utilizzata la gruit, una miscela di varie spezie, che però non aveva le stesse proprietà conservanti del primo: la birra aromatizzata senza luppolo, infatti, veniva bevuta subito dopo la preparazione e non poteva essere esportata; l’unica alternativa era aumentare il contenuto di alcol, ma ciò risultava piuttosto costoso. La birra luppolata fu perfezionata nei comuni della Germania a partire dal XIII secolo: come risultato, poiché questa birra risultò più duratura, si cominciò ad esportarla su vasta scala, anche grazie all’impiego di botti di dimensioni standardizzate. I comuni tedeschi introdussero inoltre una nuova scala di gestione ed un livello di professionalità mai raggiunti prima. In precedenza la birra veniva prodotta da uno o due uomini, durante questo periodo invece la produzione venne gestita da otto-dieci persone: questo modello si diffuse nella Contea d’Olanda nel XIV secolo e in seguito nella Contea delle Fiandre, nel Ducato di Brabante e raggiunse l’Inghilterra alla fine del XV secolo.[16]

Nel XIV secolo in Inghilterra furono introdotte delle leggi per imporre l’uso del luppolo, ed in seguito furono introdotte leggi simili in altri paesi. In Inghilterra queste leggi portarono a sollevazioni di contadini: questi sostenevano che il luppolo rovinasse il sapore della birra. Le rivolte furono comunque represse brutalmente.

La birra nella cultura norrena

La birra, fra le genti del Nord Europa, era considerata una bevanda sacra per i guerrieri: come ogni liquido fermentato, essa ha subito un processo di purificazione e può trasmettere all’uomo le energie della terra nella loro totalità.

Nell’Hávamál, all’inizio del racconto, vi è una vera e propria dissertazione sui metodi dell’ospite e ci sono alcuni versi dedicati alla birra:

(NON)«[…] vegnest verra
vegra hann velli at
en sé ofdrykkja öls.Era svá gott,
sem gott kveða
öl alda sonom;
þvíat færa veit
er fleira drekkr,
síns til geðs gumi.Óminnis hegri heitir
sá er yfir ölðrom þrumir,
hann stelr geði guma;
þess fugls fjöðrom
ek fjötraðr vark
í garði Gunnlaðar.

Ölr ek varð,
varð ofrölvi,
at ins fróða Fjalars;
því er ölðr bazt,
at aptr uf heimtir
hverr sit geð gumi.»

(IT)«Provvista peggiore
non ci si porta per campi
del bere smodato di birra.Non è così buona
come buona dicono
la birra per i figli degli uomini.
Poiché poco controllo ha
l’uomo che troppo beve
del suo intelletto.«Airone dell’oblio» è chiamato
chi indugia in birreria;
rapisce la ragione all’uomo.
Dalle penne di quell’uccello
io stesso venni incatenato
nella fortezza di Gunnlöð.

Ebbro io divenni
ebbro senza misura,
accanto al saggio Fjalarr.
Ché la birra è ottima,
a patto che mantenga
il suo intelletto, l’uomo.»

(Edda poetica – Hávamál – Il discorso di Hárr XI – Traduzione di Dario Giansanti)

La birra, per le sue capacità è considerata un dono prezioso, come si evince da questi versi del Sigrdrífumál:

(NON)«Bjór færi ek þér,
brynþings apaldr,
magni blandinn
ok megintíri;
fullr er hann ljóða
ok líknstafa,
góðra galdra
ok gamanrúna.»
(IT)«Ti porgo la birra,
o melo dell’assemblea delle corazze,
mescolata con forza
e grande fama,
colma di canti
e di rune salutari,
di buoni incantesimi
e rune di gioia.»
(Edda poetica – Sigrdrífumál – Traduzione di Gianna Chiesa Isnardi)

Europa all’inizio dell’età moderna

Un birrificio del XVI secolo

In Europa, la birra rimase un’attività casalinga durante tutto il Medioevo. La fabbrica di birra più antica ancora attiva è il birrificio Weihenstephaner in Baviera gestito da un’abbazia, che ottenne i diritti per produrre birra dalla città limitrofa di Frisinga. A partire dal XIV e XV secolo, la produzione di birra passò gradualmente dall’essere un’attività familiare ad essere un’attività artigianale: i pub e i monasteri cominciarono a produrla in proprio per un consumo di massa.

Nell’Inghilterra del XV secolo, una birra senza luppolo era nota come ale, mentre l’uso di questo trasformava la bevanda in birra. La birra con il luppolo venne importata in Inghilterra dai Paesi Bassi fin dal 1400 a Winchester, e il luppolo stesso cominciò ad essere piantato sull’isola a partire dal 1428. La popolarità del luppolo all’inizio era incerta, la Brewers Company of London arrivò a dichiarare “no hops, herbs, or other like thing be put into any ale or liquore wherof ale shall be made — but only liquor (water), malt, and yeast.” (“né luppolo, né erba né altra sostanza deve essere messa nella ale o nella bevanda alcolica in cui deve essere preparata la ale; ma solo acqua, malto e lievito”). Tuttavia, a partire dal XVI secolo, il termine “ale” cominciò a riferirsi a qualsiasi birra forte, e tutte le ale e le birre vennero luppolate.

Nel 1516, Guglielmo IV, Duca di Baviera, approvò la Reinheitsgebot (“requisito di purezza“, in tedesco), forse la più antica regolamentazione in uso fino al XX secolo. La Gebot prescriveva che gli ingredienti della birra fossero ristretti ad acqua, orzo e luppolo, con l’aggiunta del lievito dopo la sua scoperta da parte di Louis Pasteur nel 1857. La legge bavarese fu applicata in tutta la Germania subito dopo l’unificazione tedesca nell’Impero tedesco ad opera di Otto von Bismarck nel 1871, e da allora è stata aggiornata per riflettere le tendenze moderne nella produzione della birra. Ad oggi, la Gebot viene considerata un segno di purezza per le birre, sebbene ciò sia dibattuto.

La maggior parte delle birre fino a tempi relativamente recenti erano quelle oggi chiamate ale. Le lager furono prodotte per caso nel XVI secolo dopo che la birra venne conservata in grotte fresche per lunghi periodi di tempo; da allora hanno ampiamente distanziato le ale in termini di volume prodotto.

Asia

Sono state ritrovate tracce preistoriche che mostrano che la produzione di birra è iniziata intorno al 5.400 a.C. ad opera dei Sumeri (che erano insediati nell’Iraq del sud). Alcune recenti scoperte archeologiche mostrano anche che i paesani cinesi producevano bevande alcoliche già dal 7.000 a.C. Comunque, questi sforzi preistorici per produrre la birra erano su piccola scala (se non individuale) non certo su scala dell’odierna industria birraia. La prima birreria asiatica venne registrata nel 1855 (sebbene fosse stata fondata precedentemente) da Edward Dyer a Kasauli nelle Montagne Himalayane in India, sotto il nome di Dyer Breweries. L’azienda esiste ancora ed è chiamata Mohan Meakin Brewery, ed oggi comprende un grande gruppo di imprese.

La Rivoluzione Industriale

La Caledonian Brewery, fondata nel 1869, ad Edimburgo, Scozia

A seguito di importanti miglioramenti nell’efficienza del motore a vapore nel 1765, l’industrializzazione della birra divenne realtà. Ulteriori innovazioni nel processo di produzione della birra si ebbero con l’introduzione del termometronel 1760 e del densimetro nel 1770, strumenti che permisero ai birrai di aumentare l’efficienza.

Prima della fine del XVIII secolo, il malto veniva essiccato principalmente su fiamme provenienti dal legno, dalla carbonella o dalla paglia, e dopo il 1600 dal carbone coke.

In generale, nessuno di questi malti era abbastanza protetto dal fumo provocato dal processo di essiccamento, e di conseguenza le prime birre avevano un retrogusto “fumoso” nel loro sapore; le prove indicano che i venditori di malto e i produttori di birra cercarono costantemente di minimizzare la fumosità delle birre prodotte.

Scrittori dell’epoca descrivono il sapore caratteristico derivato da malti essiccati con legna e il disgusto quasi universale che questo causava. Le birre e le ale fumose del West Country erano famose per essere imbevibili ad eccezione che per la gente del posto e per i disperati:

(EN)«In most parts of the West, their malt is so stenched with the Smoak of the Wood, with which ‘tis dryed, that no Stranger can endure it, though the inhabitants, who are familiarized to it, can swallow it as the Hollanders do their thick Black Beer Brewed with Buck Wheat.» (IT)«Nella maggior parte dell’Ovest, il loro malto è così puzzolente di Fumo di Legno, con cui questo viene essiccato, che nessuno Straniero può sopportarlo, sebbene gli abitanti, che hanno familiarità con questo, possono mandarlo giù poiché gli Olandesi producono la loro densa Birra Nera con il Grano Saraceno.»
(“Directions for Brewing Malt Liquors” (1700))

Un densimetro, usato per misurare la gravità specifica dei liquidi

Il malto essiccato con legna aveva un sapore orribile, ma alcuni birrai di Londra una volta lo usavano perché era economico e dopo averlo fatto invecchiare in una birra molto luppolata il suo sapore “fumoso” si notava a malapena.

Tuttavia il malto brown essiccato con paglia preferito a Londra era il meno ricercato: questa è la ragione principale per cui veniva valutato più della varietà essiccata a legna. In un libro del 1830 circa , c’è un capitolo su cosa può andare male durante il maltaggio. Il malto fumoso veniva considerato un serio errore:

(EN)«The third error consists in the drying of malt. They are apt to be tainted by the smoke, through the carelessness, covetousness, or unskilfulness of the maker. Every care ought to be taken to guard against this accident as one of the most prejudicial that can befall malt drinks.» (IT)«Il terzo errore si ha durante l’essiccamento del malto. Questo è soggetto ad essere contaminato dal fumo, a causa dell’incuria, dell’avidità o dell’incapacità del fabbricante. Deve essere presa ogni precauzione per evitare questo incidente, che è uno dei più pregiudizievoli che può accadere alle bevande maltate»
(“Town and Country Brewery Book”)

Il densimetro trasformò il modo di produrre la birra: prima della sua introduzione le birre erano fabbricate da un malto singolo: braunbier da malto tostato (brown), birre amber da malto amber, pale beer da malto pale. Con l’utilizzo del densimetro i birrai poterono calcolare la produzione a partire da malti differenti e osservarono che il malto pale, sebbene fosse più costoso, forniva più materiale fermentabile rispetto a malti più economici: ad esempio il malto brown (usato per la birra Porter) fruttava 54 libbre (circa 24,5 kg) di estratto ogni quarto, mentre il malto pale forniva 80 libbre (circa 36 kg). Una volta venuti a conoscenza di ciò i produttori di birra cominciarono ad usare prevalentemente malto pale per tutte le birre con l’aggiunta di piccole quantità di malto molto colorato per raggiungere il colore corretto per le birre più scure.

L’invenzione del tostacaffè nel 1817 ad opera di Daniel Wheeler permise la creazione di malti molto scuri e tostati, contribuendo al sapore delle birre porter e stout: il suo sviluppo venne stimolato da una legge britannica del 1816 che proibiva l’uso per la birra di qualsiasi ingrediente che non fosse malto e luppolo. I fabbricanti di porter, utilizzando un malto macinato prevalentemente pale ebbero urgente bisogno di un colorante legale: il malto prodotto dalla macchina di Wheeler fu la soluzione.

La scoperta di Louis Pasteur del ruolo del lievito nella fermentazione nel 1857 fornì ai produttori di birra metodi per prevenire l’inacidimento della birra ad opera di sgraditi microrganismi.

La birra nei tempi moderni

Imbottigliamento di birra in un impianto moderno, 1945, Australia

Nel XIX secolo, fra le prime produzioni di birra in Italia si ricordano: la Wührer di Brescia, la Pasqui di Forlì, la Peroni di Vigevano, poi di Roma; la Moretti di Udine.

Negli Stati Uniti, prima del proibizionismo esistevano migliaia di fabbriche di birra, la gran parte delle quali produceva birre forti, di stampo europeo. A partire dal 1920, molte di queste fabbriche fallirono, anche se alcune avevano cominciato a produrre bevande analcoliche o ad intraprendere altre attività. Le birre di contrabbando vennero spesso annacquate per aumentare i profitti, dando così inizio al trend, ancora oggi in atto, che vuole che gli Statunitensi preferiscano le birre più leggere. In seguito il consolidamento delle fabbriche di birra e l’applicazione di alcuni standard per il controllo di qualità industriale condussero alla produzione e alla distribuzione di massa di imponenti quantità di lager leggere. Le fabbriche di birra più piccole, comprese le microbirrerie, i produttori artigianali e gli import, servirono il segmento del mercato americano a cui piaceva le birre più pesanti.

In molte nazioni i birrifici che iniziarono la propria attività su scala domestica guidate da immigrati tedeschi, o in genere europei, si trasformarono in grandi compagnie, passando spesso di mano con più attenzione ai profitti che alle tradizioni di qualità, dando così luogo ad una degradazione del prodotto finale. Ad ogni modo spesso queste compagnie hanno provato a continuare sul solco delle tradizioni di eccellenza mentre crescevano enormemente.

Nel 1953 il neozelandese Morton W. Coutts sviluppò la tecnica della fermentazione continua. Coutts brevettò il suo processo che prevedeva che la birra scorresse in taniche sigillate, fermentando sotto pressione, e non venendo mai a contatto con l’atmosfera, anche quando veniva imbottigliata: questo procedimento viene usato dalla Guinness.

Oggi l’industria birraria è un business di proporzioni globali, composto da alcune industrie multinazionali e da molte migliaia di produttori più piccoli che vanno dai brewpub ai birrifici regionali. I progressi nella refrigerazione, nella spedizione internazionale e transcontinentale, nella distribuzione e nel commercio hanno dato vita ad un mercato internazionale in cui il consumatore può scegliere letteralmente tra centinaia di vari tipi di birra locale, regionale, nazionale ed estera.

Mitologia

Gambrinus – re della birra

  • Il poema epico finlandese Kalevala, raccolto in forma scritta nel XIX secolo ma basato su tradizioni orali di molti secoli addietro, dedica più righe all’origine e alla produzione di birra che all’origine dell’umanità.
  • La canzone da pub britannica “Beer, Beer, Beer” attribuisce l’invenzione della birra al fantomatico Charlie Mopps, ma la storia ci racconta che solo molto avanti nella storia britannica della birra, questa conteneva luppolo:
(ENA long time ago, way back in history

When all there was to drink was nothin’ but cups of tea,
Along came a man by the name of Charlie Mopps
And he invented the wonderful drink, and he made it out of hops.
»
(ITMolto tempo fa, indietro nella storia

Quando tutto quello che c’era da bere erano solo tazze di tè,
Arrivò un uomo chiamato Charlie Mopps
Ed egli inventò la meravigliosa bevanda, e la fece con il luppolo.
»
(Estratto di testo da “Beer, Beer, Beer”)
  • Al mitico re fiammingo Gambrinus (da Jan Primus), talvolta viene attribuita l’invenzione della birra.
  • Secondo una leggenda ceca, il dio Radigost, dio dell’ospitalità, inventò la birra.
  • Ninkasi era la dea padrona della produzione della birra al tempo degli antichi Sumeri.

Antropologia

In alcune parti dell’Africa la preparazione e il consumo collettivo di birra sono importanti fattori di coesione sociale; per esempio i Nande del Congo la considerano il ritorno degli avi sotto forma di cibo; tra i Kaguru della Tanzania la birra assume un’importanza pari alla danza nei riti di passaggio.

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Le stout sono birre scure ad alta fermentazione prodotte con l’aggiunta di percentuali variabili di malto d’orzo tostato e orzo tostato.

Storia

La porter fu prodotta per la prima volta a Londra nel corso del XVIII secolo e divenne molto famosa in Gran Bretagna e in Irlanda dove nacquero molti birrifici e pub. Con l’avvento delle pale ale, la popolarità delle birre scure diminuì, eccetto che in Irlanda dove i birrifici Guinness, Murphy’s e Beamish crebbero in dimensioni e cominciarono ad esportare la stout irlandese (o “dry stout”) in tutto il mondo.

Dopo la seconda guerra mondiale in Gran Bretagna si diffusero le “milk stout”, una variante più dolce, ma la loro popolarità declinò verso la fine del XX secolo, ad eccezione di alcune realtà locali come Glasgow con la sua “Sweetheart Stout”, e la “Dragon Stout” in Giamaica.

Inizialmente in inglese il termine “stout” significava “orgoglioso” o “impavido”, ma in seguito, dopo il XIV secolo prese il significato di “forte”. La prima volta che questo termine fu usato in questa accezione nei confronti di una birra è stata in un documento datato 1677 che fu trovato nella collezione di manoscritti[2] di Francis Henry Egerton, VIII conte di Bridgewater.[3]

L’espressione “stout porter” fu usata durante il XVIII secolo per indicare una versione particolarmente forte della porter, e fu usata dalla Guinness nel 1820, sebbene producesse porter dal 1780, e sebbene avesse prodotto una ale dalla sua fondazione con Arthur Guinness nel 1759. All’epoca “Stout” significava ancora esclusivamente “forte” e poteva essere associato a qualsiasi stile di birra, purché avesse una gradazione alcolica adeguata: nel Regno Unito, ad esempio era possibile trovare la denominazione “stout pale ale”.

In seguito il termine “stout” è stato associato esclusivamente alla porter, diventando un sinonimo di “birra scura”.

Verso la fine del XIX secolo, la stout e la porter si guadagnarono la reputazione di essere bibite che fanno bene alla salute, a tal punto che venivano consumate dagli atleti e dalle donne che allattavano; molti dottori inoltre le consigliavano durante la convalescenza per aiutare il recupero del fisico.[4] A testimonianza di ciò, in Irlanda in passato, ai donatori di sangue veniva data una Guinness per il suo alto contenuto di ferro.[4]

Tipi di stout

Dry stout

Le stout irlandesi o dry stout sono molto scure e spesso hanno un sapore “tostato”, simile a quello del caffè. Sia il contenuto alcolico, sia il gusto “asciutto” (in inglese dry) sono piuttosto leggeri, anche se cambiano di paese in paese.

Imperial stout

L’Imperial stout, anche conosciuta come “Russian Imperial Stout”, è una birra scura forte che fu prodotta per la prima volta nel birrificio di Thrale a Londra per esportarla alla corte dello zar di Russia.[5] Il contenuto alcolico è piuttosto alto (normalmente 9-10% vol) in modo da poterla conservare durante i lunghi viaggi, e per rinvigorire chi la beveva in climi freddi. Il colore è molto scuro, quasi sempre nero opaco.

Porter

Porter è un nome alternativo della stout che fu usato soprattutto nel XVIII secolo. Storicamente, tecnicamente e culturalmente non esistono differenze tra stout e porter, sebbene ci sia una tendenza dei mastri birrai a differenziare le loro birre a seconda della gradazione alcolica in “extra”, “double” e “stout”. Perciò il termine “stout” veniva usato per indicare la porter più forte tra tutte quelle prodotte da ogni singolo birrificio; proprio per questo motivo la porter di un certo birrificio poteva essere più forte della stout di quello vicino. Nonostante questo inconveniente, questa è stata l’accezione più comunemente utilizzata.[6]

Milk stout

La “milk stout” (chiamata anche “sweet stout” o “cream stout”) è una stout contenente il lattosio, uno zucchero derivato dal latte. Questo ingrediente non viene fermentato dal Saccharomyces cerevisiae, e proprio per questo aggiunge dolcezza, corpo e calorie al prodotto finito. L’esempio tipico di sweet stout è la Mackeson’s XXX.

In passato si pensava che la milk stout fosse molto nutriente e veniva data alle donne in allattamento. Storicamente il primo ad avere una licenza per produrre una birra basata sul lattosio, il siero di latte e il luppolo fu John Henry Johnson nel 1875. La milk stout però non si diffuse largamente almeno fino al 1910, quando cioè il birrificio Mackeson’s acquistò la licenza e iniziò a produrla; in seguito il permesso fu concesso a molti altri birrifici.

Oatmeal stout

La oatmeal stout è una stout con una certa percentuale di avena, normalmente non superiore al 30%, aggiunta durante il processo produttivo. Sebbene una quantità superiore al 30% di avena possa conferire alla birra un gusto troppo amaro,[7] durante il medioevo in Europa, l’avena era un ingrediente comune per le ale,[8] ed era presente in quantità superiori al 35%. Tuttavia, a parte in alcune aree d’Europa, come la Norvegia, nelle quali l’avena è stata usata fino alla prima parte del XX secolo, quest’usanza si è quasi completamente estinta nel corso del XVI secolo, tant’è che si riporta che, nel 1513, sotto la dinastia Tudor i marinai si rifiutarono di bere la birra all’avena che gli veniva offerta a causa del suo sapore amaro.[9][10]

Verso la fine del XIX secolo ci fu una ripresa di interesse nell’usare l’avena, ma durò solo fino agli inizi del XX secolo. Quando lo scrittore Michael Jackson la menzionò nel suo libro del 1977, The World Guide to Beer, la oatmeal stout non era più prodotta da nessuna parte, ma Charles Finkel, fondatore della compagnia di importazione “Merchant du Vin”, fu abbastanza curioso da commissionare il birrificio Samuel Smith per produrne una versione.[11] La Oatmeal Stout di Samuel Smith in seguito divenne il modello per le versioni degli altri birrifici.

Chocolate stout

Chocolate stout è il nome che i mastri birrai danno ad alcune stout dal sapore che ricorda particolarmente il cioccolato fondente. Vengono prodotte attraverso l’uso di malti particolari più scuri e più aromatici. Talvolta le birre possono essere prodotte anche con una piccola quantità di vero cioccolato, come nel caso della Double Chocolate Stout, e della Chocolate Stout.[12][13]

Il Brooklyn Brewery di New York produce una Black Chocolate Stout molto forte (10.6% vol) che usa sei tipi diversi di cioccolato nero e malti tostati.[14] Il birrificio danese Denmark’s Ølfabrikken brewery[15] ha prodotto una stout forte chiamata ØL, che è fatta con ingredienti da quattro continenti: cacao dal Sud America; caffè dall’Asia; luppolo dal Nord America e malto dall’Europa.

Coffee stout

I malti scuri tostati possono conferire una nota di caffè amaro al sapore della birra. Alcuni mastri birrai, per enfatizzare questo gusto, aggiungono un sottofondo di caffè. Queste birre prenderanno dei nomi come “Guatemalan Coffee Stout”, “Espresso Stout”, “Breakfast Coffee Stout”, etc.

La gradazione alcolica di queste stout al sapore di caffè varia dal 4% fino ad oltre 8% vol. La maggior parte di queste birre sono asciutte e amare, tuttavia in alcune si aggiungono latte e zucchero per creare una stout dolce che può prendere il nome di “Coffee & Cream Stout” o solo “Coffee Cream Stout”.

Oyster stout

Le ostriche (in inglese oyster) sono state abbinate a lungo alla stout. Quando si diffusero le prime stout, nel XVIII secolo, le ostriche erano un alimento molto diffuso, spesso servito nei pub e nelle taverne. Il primo ad aver abbinato ostriche e Guinness si dice sia stato Benjamin Disraeli nel XIX secolo. Tuttavia con l’avvento del XX secolo il mercato delle ostriche era in declino e le stout furono soppiantate dalle pale ale.

Le prime notizie riguardo l’utilizzo di ostriche durante un processo produttivo della birra risalgono al 1929 in Nuova Zelanda, e in seguito dal birrificio Hammerton di Londra nel 1938.

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Si definisce birra trappista una birra brassata da monaci trappisti o sotto il loro diretto controllo. Dei 176 monasteri trappisti nel mondo, solo dodici producono birra (sei in Belgio, due nei Paesi Bassi, uno negli Stati Uniti, uno in Austria, uno in Italia e uno nel Regno Unito). Solo questi dodici birrifici sono autorizzati ad etichettare le loro birre con il logo Authentic trappist product (“Autentico prodotto trappista“) che indica l’osservanza di una serie di regole stabilite dall’Associazione Internazionale dei Trappisti.

Storia

L’ordine dei Trappisti ha avuto origine nel monastero cistercense di La Trappe, in Francia. Nel 1664 l’abate di La Trappe, reputando troppo liberali i comportamenti dei monaci cistercensi, decise di introdurre una serie di nuove regole più severe da adottare all’interno dell’abbazia (fra le quali l’obbligo di bere solo acqua), facendo così nascere il nuovo ordine (detto della “stretta osservanza”). Col passare del tempo però le regole sono andate rilassandosi e nel diciannovesimo secolo in numerosi monasteri francesi che seguivano la “stretta osservanza” veniva prodotta birra.

I trappisti erano solo uno fra i tanti ordini monastici a produrre birra per finanziare il proprio sostentamento, ma erano sicuramente fra i più attivi: c’erano almeno sei birrerie trappiste in Francia, sei in Belgio, due nei Paesi Bassi, una in Germania, una in Austria e probabilmente anche in altri paesi. In seguito alla rivoluzione francese e alle guerre mondiali però la maggior parte di questi monasteri andò distrutta. Nonostante ciò la popolarità delle birre Trappiste continuò a crescere, tanto che numerose birrerie non autorizzate cercarono di sfruttare commercialmente il logo, obbligando i monaci a prendere provvedimenti e a far nascere l’Associazione Trappista Internazionale.

Associazione Trappista Internazionale (ITA)

Nel 1997, otto abbazie trappiste – sei del Belgio (Orval, Abbazia di Notre-Dame de Scourmont, Westvleteren, Rochefort, Westmalle e Achel), una olandese (Koningshoeven) e una tedesca (Mariawald) – fondarono l’Associazione Trappista Internazionale (ITA) per prevenire l’uso improprio del marchio trappista da parte di compagnie commerciali non autorizzate. Quest’associazione creò un logo che può essere assegnato a vari prodotti (formaggio, birra, vino, etc.) che rispettino precisi criteri di produzione. Per le birre i criteri sono i seguenti:

  • La birra deve essere prodotta all’interno delle mura di un’abbazia trappista, da parte di monaci trappisti o sotto il loro diretto controllo.
  • La produzione, la scelta dei processi produttivi e l’orientamento commerciale devono dipendere dalla comunità monastica.
  • I ricavi della produzione di birra devono essere diretti al sostentamento dei monaci e alla beneficenza ma non al profitto.

L’associazione ha valore legale e il logo serve a dare precise garanzie al consumatore sul prodotto offerto e sulla sua fabbricazione.

Bottiglie di birra Chimay

Nel 2012 anche l’abbazia di Engelszell in Austria ha iniziato la produzione di birra e ottenuto il logo di Authentic Trappist Product. Dal giugno 2013 è stata autorizzata l’abbazia Maria Toevlucht “Zundert” (Paesi Bassi) a produrre birra con il logo Authentic Trappist Product, e dall’ottobre 2013 è stata inserita anche un’abbazia statunitense, la prima ufficiale fuori Europa, la St. Joseph’s Abbey of Spencer nel Massachusetts nell’elenco delle birrerie Trappiste. Produce birra con il marchio Spencer Brewing Co. Nel 2015, all’elenco, si è aggiunta l’Abbazia delle Tre Fontane a Roma, in Italia. Il 17 settembre 2018 ottiene il logo Authentic Trappist Product anche la Mount St Bernard Abbey nel Leicestershire che produce la “Tynt Meadow”, diventando il primo birrificio trappista del Regno Unito.

Poiché l’abbazia di Mariawald non produce birra, al 2018 sono in tutto dodici i birrifici autorizzati a etichettare le proprie birre con il suddetto logo:

  • Bières de Chimay (prodotta nell’Abbazia di Notre-Dame de Scourmont)
  • Brasserie d’Orval
  • Brasserie de Rochefort
  • Brouwerij Westmalle
  • Brouwerij Westvleteren
  • Brouwerij de Achelse Kluis
  • Brouwerij De Koningshoeven
  • Stift Engelszell (produce le birre Gregorius, Benno e Nivard)
  • Maria Toevlucht (produce la Zundert)
  • St. Joseph’s Abbey of Spencer
  • Abbazia delle Tre Fontane
  • Mount St Bernard Abbey (produce la Tynt Meadow)

Fra il 1999 e ottobre 2005 alla birreria olandese De Koningshoeven fu revocata l’autorizzazione all’utilizzo del logo, a causa di un accordo commerciale con un grande gruppo industriale (Bavaria).

A partire dal 16 giugno 2011 l’Abbazia di Notre-Dame de Scourmont (Belgio) ha iniziato la produzione della birra Mont des Cats per conto dei monaci trappisti dell’omonima abbazia francese, che non producendo in proprio non può essere considerata una “birreria trappista”. Secondo la ITA stessa[2] , la Monts des Cats è comunque da considerarsi a tutti gli effetti una “birra trappista” anche se non può fregiarsi del relativo logo poiché commercializzata da un monastero che non ne è il produttore[3].

La dizione generica di birra d’abbazia si utilizza per birre che si richiamano (nello stile o nella presentazione) ai prodotti monastici, e che sono prodotte da birrifici commerciali (con o senza accordi o connessioni con monasteri esistenti o estinti), o da monasteri non trappisti. Non rispettando i criteri sopra elencati non sono pertanto riconosciute dall’Associazione Trappista Internazionale e non vanno quindi confuse con le birre trappiste.

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Hoegaarden è un birrificio fondato da Pierre Celis nella città di Hoegaarden, nelle Fiandre, nel 1966. Dopo un incendio nel 1988, la birreria venne comprata dalla InBev, che aveva sede nella vicina Lovanio. Pierre Celis si spostò quindi negli Stati Uniti, dove fondò la birreria Celis ad Austin, in Texas.

La birra

La birra Hoegaarden è considerata la regina delle birre bianche (blanche/wit), termine che, mai come in questa birra, sembra calzare bene: si tratta infatti di una birra estremamente chiara.

Un altro elemento inconfondibile è la schiuma: bianca, spumosa, persistente e profumata di scorze d’arancia. Il gusto è quello fresco e acidulo del frumento non maltato belga, con un leggero fondo di miele e lievito; il retrogusto lieve ma persistente è chiaramente di succo di limone.

Birra Hoegaarden
Hoegaarden witbier.jpg
Categoria Birra
Tipo Blanche/Wit
Marca
Nazione Belgio Belgio
Alcol 4,9% vol.[1]
Colore platino
Tipo di fermentazione ad alta temperatura
Gusto fresco e acidulo, di cereali
Temperatura di servizio 4 °C

Altri prodotti

  • Hoegaarden Grand Cru: si tratta di una ale forte (gradazione alcolica 8,6% vol.)
  • Hoegaarden Speciale: versione più invernale; più ambrata, corposa e ricca nel gusto. Gradazione alcolica 5,7% vol.
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La birra artigianale è una birra prodotta da un birrificio di piccole dimensioni. La dimensione riguarda il volume produttivo esiguo e che pertanto è tipico di un’impresa artigiana, contrapposta ad aziende che realizzano birra su scala industriale.

Birra artigianale e microbirrificio sono termini distinti ma contigui[1].

Produzione

Il prodotto non è pastorizzato e generalmente non filtrato.

La birra viene prodotta principalmente con il malto d’orzo e/o con il malto di frumento (e in alcuni casi anche con altri cereali maltati), elementi base, ai quali vengono aggiunti luppolo, lievito ed acqua.

A questo punto la birra è pronta per essere bevuta ma ha una durata limitata nel tempo. Per aumentarne la conservazione, nella produzione industriale, il prodotto viene sottoposto ad alcuni trattamenti come la pastorizzazione ed il filtraggio. Vengono così inattivati i microrganismi contenuti nel lievito e filtrata la bevanda, aggiungendo poi degli additivi conservanti e stabilizzanti. Dopo questo trattamento il prodotto può essere movimentato e stoccato senza alcun problema.

Le birre prodotte con tecniche industriali, pertanto, si differenziano sostanzialmente da quelle artigianali ad un esame organolettico. La presenza di lieviti attivi, inoltre, rende queste ultime un alimento vivo che si evolve nel tempo. Se il tipo di birra lo consente, è possibile un invecchiamento in cantina anche per alcuni anni.

Il fenomeno dei birrifici artigianali, rinasce negli Stati Uniti ed è una riscoperta che avviene a partire dagli anni ottanta, la cosiddetta “Renaissance Americana”, dove molti immigrati europei, riescono a mantenere in vita alcuni vecchi prodotti europei che altrimenti sarebbero andati perduti.

Anche in Europa ed in Italia si sta affermando questo fenomeno che si ripromette di proporre prodotti artigianali di elevata qualità.

In Italia

La produzione di un microbirrificio è limitata (in genere si pone il limite a 5 000 hl annui, più di recente a 10 000 hl). A partire dal 2016 la legge definisce come “birra artigianale” quella prodotta da birrifici indipendenti (legalmente ed economicamente) che utilizzi impianti di produzione propri e non produca oltre 200 000 ettolitri di birra all’anno; inoltre la birra non può essere sottoposta a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione.

I produttori di birra artigianale si possono dividere in tre categorie:

  • microbirrifici, che in genere non dispongono di un locale di mescita e la cui produzione è in tutto o in gran parte destinata alla vendita a locali e negozi;
  • brewpub ovvero locali che producono birra per il consumo interno, spesso abbinato ad attività di ristorazione.
  • beer firm ovvero impianti preesistenti che vengono affittati a privati, i quali possono quindi produrre birra artigianalmente ma in quantità non raggiungibili con un normale impianto casalingo.

Il numero di microbirrifici è in continuo aumento, si stima che nel 2007 fossero operativi almeno 175 microbirrifici; nel 2010 hanno superato le 300 unità arrivando a coprire circa l’1% della produzione di birra italiana, mentre nel 2014 hanno quasi raggiunto le 1000 unità arrivando a coprire circa il 3% della produzione di birra italiana. Il trend di crescita non accenna a diminuire. L’anno di inizio di questo fenomeno (a parte alcuni tentativi pionieristici, ad esempio a Sorrento e sul Lago di Garda) è il 1996, quando contemporaneamente, ma senza alcun collegamento fra loro, aprono diversi birrifici. Dal 2005 vengono pubblicati una serie di libri volti a una catalogazione per il crescente fenomeno.

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La produzione dei microbirrifici italiani nel complesso presenta una varietà notevolissima con birre ispirate ai più diversi stili internazionali. Frequente è anche la creazione di birre comprendenti ingredienti inusuali sia come materia fermentabile che come aromatizzazioni, spesso integrando produzioni locali (ad esempio farro, frutta DOP e IGP). Esempio significativo l’uso delle castagne, utilizzate in un numero di birre che non trova riscontri in altre nazioni produttrici, tanto da diventare quasi un simbolo della birra artigianale italiana.[9]
In forte crescita anche le contaminazioni con il vino, utilizzando sia botti di legno di secondo passaggio, che mosto d’uva con i suoi lieviti autoctoni.

L’uso di produzioni locali in certi casi è esteso anche agli ingredienti tradizionali, con uso di malto ottenuto da cereali locali, maltazione effettuata in proprio e esperimenti con la coltivazione del luppolo. Una grande diffusione sta ottenendo anche il mais, spesso utilizzato dall’industria per contenere i costi, ma che in ambito artigianale diventa una materia prima di alto pregio utilizzando varietà antiche come lo “sponcio”, il “pignoletto” o il “marano”.

Da qualche anno diversi microbirrifici italiani hanno cominciato un’attività di esportazione dei loro prodotti, principalmente sul mercato USA, anche se il mercato europeo si sta dimostrando molto interessante e attento ai prodotti italiani. Alcune delle produzioni artigianali italiane hanno ricevuto un ottimo apprezzamento da parte degli appassionati di birra americani e non, come documentato dai più importanti siti di rating. La continua crescita del fenomeno ha portato ad analisi anche economiche come quella riportata da fermento Birra a cura di Lelio Bottero o la ricerca congiunta UnionBirrai-Altis che, per la prima volta analizza in modo statistico microbirrifici e brewpub.

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